“Uno straordinario successo legale è stato ottenuto grazie all’abilità e alla dedizione dello Studio Maior in un caso di polizza temporanea caso morte. Una donna con problematiche renali aveva contratto una polizza sulla vita, indicando i suoi congiunti come beneficiari. Tuttavia, aveva omesso di menzionare la sua condizione di salute nella dichiarazione presentata all’Assicuratore. Purtroppo, durante il periodo di validità della polizza, la donna è deceduta in un incidente stradale di cui era risultata responsabile. Quando i familiari hanno cercato di attivare la polizza vita, l’Assicuratore ha rifiutato di liquidare l’importo assicurato, affermando che la contraente aveva violato il contratto fornendo informazioni incomplete sul suo stato di salute. Lo Studio Maior, assumendo la difesa dei richiedenti, ha condotto un’approfondita indagine e dimostrato che la patologia renale della defunta non aveva alcuna relazione causale con l’evento morte. Di conseguenza, l’omissione nella dichiarazione non aveva influito in alcun modo sull’Assicuratore. Dopo aver richiesto una rivalutazione alla Commissione Medica Centrale, l’Assicuratore si è visto costretto a rivedere la propria posizione. Con il nostro sostegno, l’assicuratore ha scelto di onorare l’indennizzo corrispondente a 150mila euro, evitando così un potenziale esito sfavorevole in tribunale”. A riferirlo è lo Studio Associati Maior – Studio legale e medico legale composto dagli Avvocati Michele Francesco Sorrentino, Pierlorenzo Catalano e Filippo Castaldo, nonché dal medico-legale Dott. Marcello Lorello.

“Questo caso dimostra l’importanza di un’adeguata difesa legale in situazioni complesse e controversie contrattuali. Lo Studio Maior è orgoglioso di aver assistito con successo i propri clienti nell’ottenere la giustizia e l’indennizzo che meritavano” concludono.

La medicina è una scienza umana e, come tale, non è una scienza esatta. Tuttavia sia in base alla deontologia medica sia alla luce degli standard minimi di assistenza possono riconoscersi ipotesi in cui la pratica medica non viene eseguita secondo queste linee guida ma anzi si verificano abusi e illeciti dovuti a negligenza e imperizia.

Questo è proprio il caso di una nostra cliente che ha subito un intervento chirurgico di artroprotesi all’anca presso una struttura privata. Già a pochi mesi dall’intervento la ricorrente accusava forti dolori che ostacolavano e rendevano difficoltose le sue attività quotidiane. A seguito di numerosi accertamenti che confermavano le sofferenze patite dalla nostra cliente e le attribuivano alla mancata perizia nell’esecuzione dell’intervento chirurgico all’anca, la stessa si recava presso un altro presidio ospedaliero fuori regione.
A meno di due anni dal primo intervento, ormai sfiancata dal dolore quotidiano e impossibilitata nei movimenti, la ricorrente ha subito un’ulteriore operazione all’anca. Addirittura, tanto invalidante era la sofferenza patita, che la nostra cliente è stata accettata al ricovero in sedia a rotelle.
Il secondo intervento eseguito in un’altra clinica (lontana dal domicilio della nostra assistita) è andato a buon fine ma, nonostante questo, la ricorrente ha comunque affrontato un decorso operatorio lungo, con necessità di rieducazione posturale e utilizzo di stampelle per camminare.

L’operazione di artroprotesi, al giorno d’oggi, è una operazione routinaria, scevra da rischi. Se, però, viene eseguita correttamente. Altrimenti può comportare danni gravi e irreparabili, proprio quanto accaduto alla ricorrente. Adesso la nostra cliente si trova in una condizione di invalidità permanente causata dall’indebolimento del suo fisico a seguito dell’evitabile intervento.

I sanitari della clinica dove la nostra cliente ha subito il primo intervento hanno agito con negligenza, imperizia e imprudenza. Così come è stata effettuata l’operazione chirurgica ha comportato un gravissimo nocumento, causando una zoppia protratta che è poi sfociata nella necessità di spostarsi in sedia a rotelle.

La lesione del bene salute, tutelato dall’art. 32 della nostra Costituzione, dà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la menomazione dell’integrità psicofisica e la compromissione della vita socio-relazionale (Cass. Civ., Sez. 3, Ordinanza n. 7126 del 12/03/2021).

Alla nostra cliente andranno risarciti sia la lesione temporanea e permanente dell’integrità psicofisica sia i numerosi e incommensurabili patimenti subiti in termini di dolore e sofferenza soggettiva a seguito di un intervento ‘sbagliato’.

La condotta clinica negligente del medico e della struttura ospedaliera fanno della ricorrente una vittima di malasanità che attende giustizia.